Le Marche, l’Abruzzo, la Toscana, Calabria, e siamo appena all’inizio. Puntuali e ripetitivi televisioni e giornali ci raccontano i “consueti” disastri causati dal cattivo tempo: fiumi che straripano dagli argini, bombe d’acqua che travolgono tutto quello che incontrano, frane, alluvioni… Su cento frane che si verificano in Europa, 62 avvengono in Italia. 62 su 100. Causano danni almeno per un miliardo di euro l’anno. Quanto si investe in prevenzione? Trenta milioni. Eppure la messa in sicurezza del territorio è la sola Grande Opera assolutamente indispensabile al Paese. La commissione Ambiente della Camera ha votato all’unanimità una risoluzione sottoscritta da tutti i gruppi politici, che chiedeva di operare con urgenza, a partire da uno stanziamento “pari ad almeno 500 milioni annui”. Nella risoluzione si legge che le aree a elevata criticità idrogeologica (rischio frana e/o alluvione) rappresentano circa il 10 per cento della superficie del territorio nazionale (29.500 chilometri quadrati) e riguardano l’81,9 per cento dei comuni (6.633); in esse vivono 5,8 milioni di persone (9,6 per cento della popolazione nazionale), per un totale di 2,4 milioni di famiglie; in tali aree si trovano oltre 1,2 milioni di edifici e più di 2/3 delle zone esposte a rischio interessa centri urbani, infrastrutture e aree produttive. E ancora: “La pericolosità degli eventi naturali è senza dubbio amplificata dall’elevata vulnerabilità del patrimonio edilizio italiano: oltre il 60 per cento degli edifici (circa 7 milioni) è stato costruito prima dell’entrata in vigore della normativa antisismica per le costruzioni e, di questi, oltre 2,5 milioni risultano in pessimo o mediocre stato di conservazione e, quindi, più esposti ai rischi idrogeologici”. Il ministero dell’Ambiente valuta che il costo complessivo dei danni provocati dagli eventi franosi e alluvionali dal 1951 al 2009, rivalutato in base agli indici Istat al 2009, risulta“superiore a 52 miliardi di euro, quindi circa un miliardo di euro all’anno e, complessivamente, più di quanto servirebbe per realizzare l’insieme delle opere di mitigazione del rischio idrogeologico sull’intero territorio nazionale, individuate nei piani stralcio per l’assetto idrogeologico e quantificate in 40 miliardi di euro”. Gli eventi gravi legati al dissesto idrogeologico sono stati oltre 4.000, hanno provocato più di 12mila morti, il numero dei dispersi, dei feriti e degli sfollati supera i 70 mila. A essere a rischio moltissimi edifici pubblici: almeno 6.800, di cui 6.251 scolastici e 547 ospedalieri.
Il professor Aldo Loris Rossi è uno dei più apprezzati urbanisti a livello mondiale, si è formato alla scuola di Frank Lloyd Wright; ha un unico grande torto: è radicale da una vita. La proposta di Aldo Loris Rossi è insieme rivoluzionaria e utopica: dice che bisogna rottamare quella che definisce la spazzatura edilizia post-bellica, senza qualità, interesse storico ed efficienza antisismica. Un qualcosa di ciclopico visto che riguarderebbe almeno 40mila vani costruiti tra il 1945 e il 1975. E però dice che lo Stato riuscirebbe addirittura a risparmiare, se si decidesse di ricostruire tutto secondo criteri come quelli usati in Giappone, piuttosto che cercare di rimediare dopo ogni disastro e terremoto. Sono le parole di un utopista visionario? Sì, perché in Italia chi è capace di prendere una simile decisione? E tuttavia, le cifre, nella loro aridità, fanno pensare. Prendiamo gli ultimi importanti terremoti: Belice, Friuli, Irpinia, Umbria, Abruzzo, Emilia. Sommiamoli a disastri del tipo piena dell’Arno, Vajont e simili.
I costi per la ricostruzione di un chilometro quadrato di area colpita oscillano tra 60 e 200 milioni di euro; il costo medio della ricostruzione di un singolo comune varia tra i 270 e i 1400 milioni di euro; il costo medio per abitante residente nell’area colpita oscilla tra 270mila e i 783mila euro. I costi dei terremoti e dei disastri ambientali tra il 1968 e il 2003 oscillano sui 146 miliardi di euro. Paese estremamente vulnerabile l’Italia, pensate: il 44 per cento del territorio si trova nella condizione di elevato rischio sismico; significa il 36 per cento dei comuni italiani, oltre 21 milioni di persone. E questo senza considerare i costi in termini di vite umane e il patrimonio culturale che viene distrutto.
Secondo un detto le decisioni giuste vengono prese solo dopo che si sono esaurite tutte quelle sbagliate; che in Italia, a quanto pare, sono come gli esami: non finiscono mai.